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Contro il fast fashion

Contro il fast fashion

Sì, questo è un blog di scrittura, ma visto che è mio, parlo di quello che voglio. E dopo essermi già schierato contro la caccia, è il turno del fast fashion, in particolare Shein.

Sono anni che lo dico: il fast fashion è una fabbrica di merda ma la gente continua a comprare. Continuano a comprare nonostante sia noto che i vestiti venduti a pochi euro siano prodotti da persone pagate pochi centesimi al mese, in condizioni disumane. E il fatto che l’impatto ambientale sia devastante? Pazienza, l’importante è avere la magliettina a due euro con la scimmietta. E ora? Ora scopriamo, che sorpresa, che questi vestiti sono pure tossici. Chissà se questo farà riflettere qualcuno.

Ma facciamo due conti?

Il fast fashion si basa su una moda rapida e a basso costo, ma a che prezzo? Una T-shirt venduta a tre euro implica che qualcuno paghi le conseguenze: i lavoratori in paesi come Cina, Madagascar e Myanmar, che guadagnano miserie. Shein ha dominato il mercato con il 50% delle vendite globali, ma a scapito di lavoratori e ambiente.

Fondata nel 2008, Shein è passata dai gioielli farlocchi alla “moda” di massa, con un fatturato di 10 miliardi nel 2020 e oltre 60 miliardi di valutazione nel 2021. La sua app è stata la più scaricata negli Stati Uniti nel 2022. Algoritmi e dati le permettono di produrre nuovi modelli in 10 giorni, contro le cinque settimane di Zara. Ma si parla anche di plagio, con accuse da designer emergenti e case di moda.

E la Gen-Z?

Non dimentichiamoci della Gen-Z, quella generazione tanto attenta ai diritti dei lavoratori e alla sostenibilità, ma che compra Shein come se fosse la cosa più etica del mondo. Un po’ ironico, no? Influencer e celebrities aiutano a spingere questa narrazione, vendendo “moda” a basso costo e chiudendo un occhio sui lavoratori sottopagati e sulle montagne di rifiuti che questi vestiti generano.

E gli ecosistemi? E vabbè

Una T-shirt di cotone richiede 2.700 litri d’acqua e un sacco di sostanze tossiche per essere prodotta. I coloranti azoici, vietati in Europa dal 2002, sono ancora usati in queste fabbriche. Senza contare le microplastiche: il 95,2% dei prodotti Shein ne contiene. Ma tanto, che importa? L’importante è che abbiamo colori brillanti a pochi euro.

Vestiti tossici? Ma che davero?

Già, perché non basta sfruttare le persone e inquinare il pianeta. Un’indagine di CBC Marketplace ha rivelato che alcuni prodotti Shein contengono piombo, PFAS e ftalati in quantità pericolose. Una giacca per bambini conteneva 20 volte il limite di sicurezza di piombo stabilito da Health Canada. Ma chi se ne importa, finché la giacca è “cool”, giusto?

E dove finiscono tutti questi vestiti?

Nel deserto di Atacama, in Cile, uno dei luoghi più aridi del mondo. Sì, avete capito bene: un’intera discarica di vestiti usati e invenduti, visibile persino dalle immagini satellitari. Un triste cimitero di moda usa e getta, un monumento alla nostra superficialità.

E ora? Continuerete a comprare?

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