
Il DDL Femminicidio – Opinione non richiesta
Il DDL Femminicidio: quando la politica gioca a fare giustizia
L’8 marzo, giorno simbolo della lotta per i diritti delle donne, qualcuno ha pensato bene di festeggiare presentando un DDL che introduce il reato di femminicidio. Un colpo di scena degno di una soap opera, perché niente dice “ci teniamo alla sicurezza delle donne” come una legge scritta in fretta e furia per fare bella figura.
E siccome nessuno me l’ha chiesto, eppure tutti si sentono in dovere di dire la loro, ecco il mio contributo al festival dell’opinione non richiesta ma con la differenza che io almeno qualche base ce l’ho. E come ogni volta, cercherò di seguire non solo la logica e il mio pensiero, ma anche quello che a mio avviso è banale buonsenso.
Ne sentivamo il bisogno?
Forse no, dato che l’omicidio già si punisce con l’ergastolo, grazie al sistema delle aggravanti. Ma evidentemente c’era un’urgenza impellente di aggiungere un nuovo reato perché, si sa, scrivere leggi inutili costa meno che investire in educazione e prevenzione.
Una pena più severa fermerà i femminicidi?
Certo, come l’inasprimento delle pene per la corruzione ha eliminato i ladri in giacca e cravatta. Nessuno uccide perché si fa il calcolo della pena prima di agire, la prevenzione si fa con istruzione, sostegno economico alle vittime e cambiamento culturale. Ma perché preoccuparsi di soluzioni efficaci quando si può risolvere tutto con uno slogan da conferenza stampa?
La Costituzione dice che siamo tutti uguali… più o meno
Creiamo un reato su misura per un solo tipo di vittima e lasciamo fuori tutte le altre persone colpite da odio e discriminazione: persone LGBTQ+, disabili, minoranze etniche. Perché tutelare anche loro? Troppa fatica! Sarebbe bastato inserire la discriminazione di genere tra le aggravanti dei reati d’odio già esistenti, ma evidentemente la semplicità non fa notizia.
L’ergastolo funziona come deterrente?
No, e i dati lo dimostrano. Ma il punto non è risolvere il problema, è dimostrare di averlo risolto a favore di telecamera.
L’ergastolo è compatibile con la finalità rieducativa della pena?
A rigor di logica, no. Ma siccome siamo tutti d’accordo che certi individui fuori non ci debbano tornare, diciamo che ci può stare. Non è quello il problema.
La formulazione del reato è chiara?
Ah, questa è bellissima. Il giudice dovrà stabilire se un omicidio sia stato commesso “per reprimere le libertà della vittima”. Cosa vuol dire? Se un uomo uccide la compagna perché non vuole lasciarlo, rientra? E se è un femminicidio, ma il movente è la gelosia, si applica lo stesso? Un concetto così vago che più che giustizia sembra un’interpretazione dei tarocchi.
Conclusione: più propaganda, meno soluzioni
La violenza di genere è un problema grave e strutturale. Serve un cambiamento culturale, non un’operazione di marketing legislativo. Questa legge non solo non risolve nulla, ma rischia di fare danni, trasformando un tema sociale complesso in una guerra tra sessi e alimentando il solito vittimismo tossico: “Quindi la vita di un uomo vale meno?”
Non si combatte la violenza con leggi fatte per farsi belli sui giornali, ma con interventi concreti. Ma, si sa, fare leggi inutili è molto più facile che cambiare la società.